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IL DUCA CONTE e VECCHI MERLETTI

Mettiamolo subito in chiaro, fin da bambino non ho mai amato i giocattoli che avessero a che fare con trattori, macchine agricole e affini. Non mi sono mai piaciuti un po’ perché, per quanta fantasia ci mettessi, non riuscivo proprio a farli correre e poi, con quelle linee così sgraziate e troppo spesso asimmetriche, non riuscivo mai a capire a cosa servissero. Per non parlare poi dei colori improbabili e così poco eleganti. Da bravo topolino di città, amavo chissà perché le gazzelle e pantere delle forze dell’ordine che inseguivano le supersportive, mentre quegli strani oggetti gialli o arancioni mi guardavano tristi per non essere mai presi in considerazione. Non come il mio compagno di banco Umberto, il cui padre aveva una bellissima tenuta e mi faceva vedere la sua collezione di trattori sciogliendo ogni mio dubbi sul loro utilizzo.

Mai avrei pensato di guidarne uno, ma si sa la vita a volte è piuttosto birbona e si diverte a scompigliare le carte.


Il trattore dell'azienda agricola La Collina

Mi ricordo il Duca-Conte, il trattore cingolato della fattoria così ribattezzato, fermo sul piazzale ormai da oltre un mese, dopo la dipartita del suo padrone: era l’immagine della fattoria che sembrava perdersi verso l’abbandono e un inesorabile declino. Un abbandono dai fasti e dalla sua centralità per tante persone che vi avevano in qualche modo trovato rifugio. La fattoria si stava svuotando del suo carico umano e la patina di ruggine che si stava impadronendo dei cingoli sembrava fare da prologo ad una lenta ma inevitabile decadenza: in quei primi giorni cercavo di non passarci vicino, fino ad arrivare a coprirlo con un telo fingendo interesse, pur di non averlo davanti. Ero convinto che non sarebbe mai più ripartito come tutto quel mondo che girava attorno.

Le cose poi sono andate diversamente e, alla prima cena dei fattori, mi feci coraggio e chiesi a Roberto di insegnarmi a guidarlo. Naturalmente accettò con entusiasmo e ricordo le sue parole come se fosse ieri: “è come guidare un’auto, si impara subito”. Senza dire altro, saltò sul cofano e mi disse di metterlo in moto e di andare. Tirando le leve della frizione, in contemporanea con i pedali dei freni, ci incamminammo sferragliando sulla prima vigna, quella più scoscesa per l’appunto. Sembrava effettivamente facile, tanto che, mentre scendevamo sui filari, mi dicevo quanto ero stato stupito a non averlo provarlo subito. Arrivati in fondo però mi accorsi che per risalire dovevo (accidenti a non averci pensato prima…) farlo girare su se stesso e metterlo di traverso seppur per pochi metri. Immaginate la pendenza laterale, la sensazione di rovesciarsi o di iniziare a scivolare, la colazione che tornava in gola, il battito del cuore che si ferma, la strizza che ti assale e una vocina che dentro ti ricordava il tuo stato esistenziale di topo di città rincarando la dose con l’evidente “mai nessuna parentela contadinesca in intere generazioni”… morale: dopo tre notti insonni e un consiglio d’amministrazione straordinario ho giurato che non ci avrei mai messo più piede. Sì, ormai avevo deciso ed ero irremovibile…


Chianti Classico Azienda Agricola La Collina

Tuttavia si sa, gli sciocchi hanno poca memoria e così finii per ritornarci ancora. I primi tempi andavo con Massimo, cugino di Ilaria che viveva lì e che ripeteva spesso quella terribile frase sbiascicata in un meravigliato accento milanese di chi ha davanti a sé un totale imbecille: “tranquillo, è pari come un tavolo da biliardo”: pari un par di palle………!!!! Quanti accidenti gli ho mandato, mentre abbarbicato al trattore cercavo di non scivolare fuori e recuperare al volo il cuore che intanto cercava di svignarsela.

Un po’ alla volta, ho preso confidenza con quell’ammasso di ferraglia ansimante e rumorosa, iniziando a capirne meglio le qualità ed è successa quella piccola magia che si istaura a volte tra l’uomo e la macchina. Può succedere quando ci passi il sabato sopra, nella totale solitudine, e vivi le stagioni con occhi diversi, provando sulla propria pelle le loro avversità o forse meglio le amene ricchezze che la natura ci regala, con i profumi che cambiano anche a seconda delle lavorazioni: sei sul tuo fidato destriero che segue i tuoi ordini, ti perdona gli errori e compie il suo dovere di macchina docilmente, senza lamentarsi e senza chiedere niente di più che del gasolio.

Se anche noi umani fossimo così: fare il nostro dovere lasciando da parte la nostra superbia che ci vuole sempre vedere primeggiare, sprecando la vita in inutili congetture e sforzi invece di seguire l’istinto e trovare il nostro equilibrio interiore. Fare il nostro dovere, con onestà, dedizione e spirito di sacrificio, lasciando la disumana corsa ad un effimero successo personale troppo spesso costruito a discapito degli altri. Possibile che le macchine ci possano insegnare qualcosa?

Ovviamente no, ma ci possono aiutare ad immergersi nella natura, anche se nel baccano infernale di quella disumana macchina, permettendoci di lasciar andar via i nostri pensieri che finalmente liberi possono correre tra i filari e disegnare senza freni i contorni di questo strano e misterioso dono che è la vita ed il modo in cui personalmente l’affrontiamo giorno per giorno.


Azienda Agricola la collina San Casciano in Val di Pesa

 
 

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