Sentivo che nell’aria c’era qualcosa di nuovo, e che non sarebbe stata una degustazione come le altre.
Ha pensato a tutto Andrea, e solo per questo motivo non poteva uscire qualcosa di ordinario.
Ormai un po’ di mestiere l’ho imparato, e dopo aver controllato di avere i bicchieri (mai una volta della stessa misura...), le bottiglie pronte ed il cavatappi a portata di mano (ho scoperto essere terribilmente imbarazzante non trovarlo durante una degustazione) mi ripeto alcuni termini in inglese perché stavolta avrò a che fare con degli americani.
Preparo quindi mentalmente il mio solito “pippotto”: partendo dagli Estruschi, per poi scomodare il genio del Vasari e ricordare Cosimo III de’ Medici, mettendoci dentro aneddoti, leggende e la storia del nostro amato Gallo Nero, in un delirante caleidoscopio colorato fatto di immagini spesso confuse ma legate tra di loro dall’orgoglio e dalla vocazione di questa terra unica che a ragione si ritiene “omphalos” del vino.
Stavolta però, come dicevo, la situazione è un po’ diversa.
Si presentano davanti a me, oltre ad una simpatica coppia di coniugi americani, con un loro amico, anche Celeste Pin.
Ebbene, per chi il calcio non lo bazzica più di tanto, come il sottoscritto del resto, tuttavia ci sono dei giocatori che non possono non rimanerti in mente: tra questi Celeste sicuramente merita rispetto, se non altro per un cognome che poi sarebbe diventato uno degli incubi maggiori dei boomer, e in genere dei disorganizzati (non tirate in ballo la memoria, non c’entra).
Ma Celeste Pin non è solo un gran campione che ha iniziato a giocare per la Fiorentina quando io ero alle elementari, è molto di più.
E’ la domenica a sentire la telecronaca alle radioline o dalle autoradio estraibili che interrompeva il pomeriggio delle gite fuori porta e che solo quelle straordinarie voci potevano fare. La sigla del 90’minuto con lo stadio che si riempiva veloce e il garbato saluto finale di Paolo Valenti che decretava l’avvicinarsi della cena. Il simbolo della Viola con la F stilizzata e le partite a Subbuteo con gli omini rincollati mille volte.
E’ la nevicata dell’85 senza scuola per una settimana e le visite con la classe a “La Nazione”, i pomeriggi a Piazza Savonarola a giocare ed il ghiacciolo da 200 lire. I silenzi pieni di collera di Padre Fantacci e le sue incredibili recite scritte per noi. E’ anche il campino con quel canestro arrugginito, che poi un giorno è finito pure in testa al mio amico Mela aprendolo bene bene, i budini di riso di Mario e i vestiti che sapevano a casa di fritto.
E’ la Penny e i sui agguati alle scarpe di tutti i nostri amici, i viaggi in camper e quei weekend dove ci si ritrovava con gente da tutta Italia senza cellulari e con solo una breve telefonata(erano interurbane). A proposito di telefono, naturalmente quelli con il disco e la preziosissima agendina accanto scritta a più mani.
E’ la scazzottata di Bud Spencer e Terence Hill, Happy Days, Bim Bum Bam e il Daitarn III (non vi dico lo shock quando ho scoperto che i Meganoidi in realtà volevano semplicemente andarsene dalla terra, e lo avrebbero fatto senza neppure disturbare, se non ci fosse stato quel fetente di Haran Banjo che aveva deciso di mettersi di traverso per salvare il mondo...).
E’ il trenino della Lego, con quei mattoncini che materializzavano la nostra creatività, le automobiline della Bburago (ho scoperto solo adesso che si scrive con due bi, altro shock), le piste delle Formula 1 e i giochi da tavoli con dadi e pedine morsicchiate dal cane.
E’ insomma questo e molto altro. Ma forse più di tutto, è la consapevolezza di aver vissuto un momento molto bello della propria vita, e di averlo fatto anche grazie a lui che ha colorato di azzurro una piccolissima ma luminosa parte di ciascuno di noi.
Poi inesorabile, attacco il mio “pippotto”…
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