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UN MERCOLEDI' DA FATTORI

Immagine del redattore: utamaro1971itautamaro1971ita

Primo a poi sarei dovuto entrare nel merito delle cene dei fattori, anche se con un certo timore reverenziale, perché in fondo sono stato solo un satellite di questa incredibile galassia: le mani, visto l’importanza della questione, un po’ tremano, ma ormai ci sono dentro e tanto vale ballare.

Circa 40 anni fa, quando ancora era un bambino e mai avrei immaginato di doverlo raccontare, un gruppo di straordinari personaggi, decideva che fosse il caso di vedersi intorno ad un tavolo imbandito, per discutere di varie cose, ma forse semplicemente per togliersi un po’ di affanni e polvere di dosso.

Descrivere un fattore è oggi compito assai arduo se non hai mai vissuto la gerarchia vigente nelle campagne di allora, ma da quello che ho potuto conoscere e ricostruire ascoltando e raccogliendo racconti, esperienze, alcune forse dilatate dai ricordi, si trattava di un mondo di Eletti, persone investite da divinità ben disposte nei loro riguardi e che possedevano il dono del saper fare e bene. Vivevano con il quotidiano riconoscimento delle proprie capacità da parte di tutti gli altri contadini che rappresentavano dunque la maggior parte della popolazione di allora.


Erano allo stesso livello del Sacerdote e del Dottore del Paese, oasi contrapposte alla miseria ed agli stracci delle campagne polverose ancora mosse dalla mezzadria con i suoi infiniti sacrifici e privazioni. Rappresentavano lo stato dell’arte, il traguardo a cui altri poveracci ambivano una vita senza riuscirci. Erano, fatto il triste raffronto, i calciatori, gli influencer, gli artisti pop, che tutti desideravano imitare.

Gli Eletti, dunque, così gli immaginiamo noi, decisero che fosse opportuno ritrovarsi per discutere di importanti faccende, fare affari fra di loro, derimere liti e disaccordi che nascevano per i più disparati motivi. Trovare un posto adatto, che accontentasse gole profonde e stomaci d’acciaio con la propria naturale propensione al risparmio, risvegliata all’improvviso quando non era il Padrone a pagare, non fu cosa facile. E molti luoghi furono cambiati fino ad arrivare da mio Suocero.

Riccardo, che nella vita insegnava matematica e nel pomeriggio tornava alla sua amata terra, era pur sempre figlio d’arte, in quanto suo padre Fattore di una delle più importanti fattorie della zona, per bravura, onestà e giustizia, era definito un artista. E siccome dietro ad un grande Fattore c’era sempre una cuoca fenomenale, la madre era una di quelle che metteva a tavola un centinaio di contadini senza fare una piega.

Insomma, si propose, e La Collina divenne ufficialmente, per oltre 20 anni, il luogo di elezione di questi straordinari personaggi!

Il cerimoniale, contrariamente a quanto si possa pensare, era rigidissimo: si cominciava alle 8 di sera in inverno nel capanno della caccia col caminetto ed il girarrosto in funzione, mentre con la stagione calda si ritardava di un’ora, che il sole in terrazza bruciava meno ed il libeccio rinfrescava gli animi. Chi arrivava dopo non mangiava, primo perché materialmente non gli veniva aperta la porta, secondo perché avrebbe trovato i piatti inesorabilmente già vuoti vista la rapidità delle feroci mascelle. Era talmente rigido l’orario, che uno dei padri fondatori accortosi di essere in ritardo, prese una curva troppo forte e perse la vita nel tragitto. Ma per loro la puntualità era forse un segno di rispetto verso gli altri ed era impensabile mancarlo. Ah, naturalmente era assolutamente bandita qualsiasi presenza femminile, se non chiuse in cucina o al massimo a portare le pietanze (altri tempi……)!!!

Cosa gli Eletti si dicessero, Dio solo lo sa, immagino che parlassero di “donne, i cavallier, l'arme, gli amori, / le cortesie, l'audaci imprese”, o forse semplicemente di affari meschini, ridendo di come fregavano i Padroni in genere delle grandi città del nord che nessun merito a loro dire avevano, se non quello di essere nati nelle famiglie giuste, ma loro erano gli Eletti e se lo potevano permettere, perché è privilegio di pochi, prendersi gioco di uomini potenti.


La cacciagione girava negli spiedi, nei forni a legna e nei bracieri. I sughi si mischiavano agli odori di chi per mestiere sta nei campi e non dietro ad un monitor. Le mandibole si muovevano veloci, implacabili e precise come fossero in un balletto di Nureyev, alternando la ciccia a quantità di vino rosso ingurgitato direttamente in gola, fregandosene di passare dal palato e di far finta di sentire improbabili bouquet fruttati o sentori di caprifoglio, narciso e gelsomini.

Ingurgitare e allo stesso tempo discutere di affari di grave conto ridendo a bocca aperta o sbattendo i pugni sul tavolo arrabbiati per far valere le proprie ragioni…………………………, che forza………….. che incredibile audacia!!!

Finito il fiero pasto, rilassarsi a fumare il toscano, tutti insieme, diradando con la nebbia dei sigari tutte le discussioni, rinviandole al mercoledì successivo ormai stanchi per la dura battaglia sostenuta e iniziando quella più dura della digestione.

Purtroppo, lo scorrere delle stagioni, lentamente ad uno ad uno, se li stava portando via e non poteva essere diversamente per chi seguiva la morte sul campo di battaglia come ideale della vita eroica evitando così il declino inesorabile delle forze. Per la verità poi quelli che al momento venivano risparmiati, ricordavano più i Gentiluomini a difesa del Papa nel Marchese del Grillo, per cui fu deciso, dimenticando i fasti del passato, di aprire a personaggi più terreni, troppo spesso di città, tra cui medici, ingegneri, professori ecc, insomma una pletora di personaggi, tra cui il sottoscritto, che minimamente sapeva di poter competere con gli Eletti.

Tra le tante cene a cui ho partecipato, mi viene in mente quella estiva dove “il Pittore”, che lo faceva davvero di mestiere ed era pure molto considerato all’estero, al terzo litro di bianco ghiacciato affermò di riuscire ancora a fare all’amore un numero improbabile di volte al giorno. Si aprì a quel punto un feroce dibattito in cui il computo numerico aveva ferito l’orgoglio delle cagnette a cui avevano sottratto l’osso di credersi ancora abili e infaticabili amanti. Fu un delirio, in cui le urla si sono sentite fino a fondo valle e più volte, un improvvisato servizio d’ordine ha dovuto riportare la calma, fermo restando che una volta ripristinata, c’era chi trovava di certo il gusto di aizzare nuovamente il tacito tumulto. Inutile dire che il “pittore” per un bel po' non si è più visto, fosse solo per i numerosi accidenti  e cordiali vaffa….ricevuti.

Altra cena memorabile fu quella successiva alla morte di mio Suocero, che nacque quasi per gioco, e che sorprese tutti, ma che poi trovò un’incredibile adesione, e che può essere considerato l’ultimo saluto degli Eletti sopravvissuti ad uno di loro, primo fra pari.

Da brivido se ci ripenso il brindisi in suo onore con gli occhi rivolti verso il cielo, e le lacrime che in quelle facce ruvide e legnose rigavano le guance e le mani veloci cercavano di cancellare perché la dignità passa da una malcelata durezza. C’erano tutti e tutti volevano esserci.

Si è proseguito, poi con cadenza sempre più rada, finché non è arrivata la mannaia del Covid, che forse ha avuto il merito di chiudere la partita, perché ormai era chiaro che l’epopea degli Eletti non sarebbe più tornata rendendo inutile ogni riproposizione in salsa minore. Vero è che di quei tempi rimane il ricordo di uomini straordinari, non perché fossero dei Santi, anzi a dirla tutta c’erano pure delle vere e proprie canaglie, ma perché rappresentavano un mondo che oggi non esiste più, così diverso dalle nostre vite e pure così incredibilmente bello e affascinante agli occhi di noi topi di città che possiamo solo provare a immaginare e sognare…….Ἄνδρα μοι ἔννεπε, Μοῦσα, πολύτροπον, ὃς μάλα πολλὰ πλάγχθη, ἐπεὶ Τροίης ἱερὸν πτολίεθρον ἔπερσε……”

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