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Il SABATO del VILLAGGIO

Finita “la mattanza” della vendemmia con tutto ciò che si porta dietro, e che a starci dentro è tutt’altro che trascurabile, mi riferisco alla svinatura, sfecciatura&co, inizia il periodo della raccolta delle ulive.

Ora premesso che ci sono le squadre a farlo, sembrerebbe un’operazione da affrontare con il cuore più leggero, se non fosse per i sensi di colpa di essere arrivato al ponte dei morti e di non aver finito di ripulire l’oliveta, come tutti gli anni del resto e con Roberto che a ragione mi guarda scuotendo rassegnato il capoccione, soprattutto nei punti di maggior pendenza, dove la terra secca e dura e l’erba gialla dell’estate, fanno andare giù il cingolato e la mia scarsa voglia di finire spiaccicato a fondo valle.

Ma a parte questi particolari, per chi come me non aveva mai fatto esperienza del frantoio, mi si è aperto anche qua un mondo molto particolare fatto di regole non scritte e che ovviamente per motivi lavorativi frequento solo durante il fine settimana e quasi sempre il sabato.


Il frantoio dove andiamo è gestito interamente da una famiglia in cui ognuno con il suo ruolo, senza discussioni, porta avanti una macchina organizzativa non da poco, direi un gran casino, in modo così efficace da farlo sembrare semplice.

A vederli, soprattutto le prime volte, non mi avevano fatto una grande impressione, con quegli sguardi poco svegli e stralunati, le barbe non fatte, i capelli pettinati alla bell’e meglio, ma poi ho visto gli orari di apertura ed ho pensato in che condizioni sarei io stesso al loro posto, giacché mi presento sempre in frantoio vestito come se avessi appena finito di cogliere e cioè esattamente come tutti quelli di città, che il sabato vanno al frantoio pensando che ci si possa vestire come quando si coglie……….!


Proprio il dress code merita un approfondimento, in genere le mimetiche vanno per la maggiore tra i maschietti, mentre le poche signore sono vestite molto meglio, tanto da far pensare a padrone di fattorie irraggiungibili e preziosissime.

In un rumore assordante, ma in genere fuori fa freddo e pioviggina quasi sempre, la “family” si muove come se fosse un’orchestra, ognuno suona uno strumento con precisione, arriva, gira manovelle, preme tasti, aziona macchinari e controlla dagli schermi affinché tutto proceda per il meglio. E’ come una danza, o un’orchestra, perfettamente funzionante nonostante i passi strascicati e i volti stravolti.

Arrivi, entri solo quando è il tuo turno, scarichi le olive, aspetti, carichi l’olio. E’ un via vai incredibile di persone e mezzi, un succedersi di pacche sulle spalle, di sorrisi abbozzati, di movimenti goffi e quasi ridicoli, di volti che portano il segno di giornate di raccolta al freddo e al vento, di discorsi brevi dove ognuno sa cosa fare e come farlo. Non c’è una vera e propria etichetta, eppure sembra la cosa più naturale del mondo. Da cittadino rimango colpito da questo mondo a me finora così distante e sempre considerato con superficiale supponenza, scoprendo invece essere molto più vero rispetto alla mia virtuale attività lavorativa.


Mette pace il sabato del villaggio, perché le giornate sono brevi e l’imbrunire ed il suono delle campane con i caminetti scoppiettanti ci ricordano che domani è un giorno di festa ed il profumo dell’olio appena fatto mi conforta il cuore come quando da bambino aspettavo il babbo che tornava dopo una settimana di lavoro fuori città. Il ritorno con il fuoristrada pieno d’olio mi fa stare semplicemente bene, mi infonde speranza e gioia, mi crea l’illusione di vivere a pieno la mia stagione lieta e soave, riempiendomi di ottimismo e allontanando tutti i brutti pensieri .

Poi mi ritrovo da solo a scaricare in cantina i barilotti di olio da 50 kg ciascuno, e tutte le volte sono solito pensare a chi me lo abbia fatto fare…………………..

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